Ero già stata in Marocco qualche anno fa, una settimana a cavallo di capodanno a fare surf a Taghazout. Mi ero innamorata della routine quotidiana, della gentilezza degli abitanti e del cibo, ma mi era mancato un po’ conoscere l’interno del paese, le zone desertiche, le popolazioni berbere.
I ragazzi da cui stavamo erano certamente “locali”, ma erano abituati ai turisti. Erano simpatici e gentili ma sapevano bene come trattare con noi.
Ero tornata in Italia felice e soddisfatta ma con ancora un tassello da sistemare e il pensiero che sarei voluta tornare in Marocco. E così, a distanza di sette anni, eccomi qui, rientrata da poco da un viaggio completamente diverso dal primo, in quelle terre che tanto desideravo vedere.
Atterrati a Tangeri, abbiamo proseguito per Chefchauen per poi fermarci a Fez e Meknes, le città imperiali. Da lì siamo scesi verso sud, salendo sull’Atlante (dove una bellissima e inattesa nevicata ci ha sorpreso) e ridiscendendo fino al deserto. Abbiamo cavalcato dromedari e imparato canti berberi intorno al fuoco, sulle nostre teste una magica stellata ci faceva da tetto e all’alba del 1 gennaio eravamo seduti su una duna, con un freddo tagliente che ci soffiava sul viso.
Abbiamo ripercorso tutta la via delle kasbah, avventurandoci dentro gole profonde e fermandoci a visitare mercati locali e poi, dopo essere di nuovo saliti a 2500 m di altitudine per oltrepassare l’Atlante, ci siamo fermati a Marrakech, forse il posto che mi è piaciuto meno di tutto il nostro giro.
Abbiamo viaggiato per 7 giorni percorrendo più di 1400 km, eravamo cinque in auto e a volte lo spazio sembrava troppo piccolo per riuscire a trattenere caratteri e personalità così differenti, ma è stato un viaggio stupendo, forse troppo breve. Alcuni posti in particolare mi hanno affascinato moltissimo, luoghi sperduti nel nulla, popolazioni diverse, tradizioni antiche.
Cominciamo da qui: la via delle Kasbah.
La via delle Kasbah
Chiamata anche “Via delle oasi del sud”, è quella che collega l’Atlante al deserto presahariano. Noi l’abbiamo percorsa da Merzouga (località nel deserto dove avevamo appena passato la notte di capodanno) fino a Marrakech, dividendo il tragitto (quasi 600 km) in due giornate.
Quando ne parlo con gli amici la chiamo la strada delle case di fango: castelli come quelli che costruivamo da bambini con sabbia, paletta e secchiello ma che qui formano vere e proprie città.

Queste fortificazioni (“kasbah” è una parola che viene dall’arabo – qaṣba – che letteralmente si traduce in cittadella) furono infatti costruite a partire dal Seicento per le famiglie dominanti, con la tecnica del “pisé” (paglia mischiata a fango e argilla raccolti lungo la riva dei fiumi); l’architettura è monumentale e le mura esterne sono ornate da merletti e decorate con motivi berberi.
Fa impressione camminare dentro queste case (alcune di queste diventate adesso vere e proprie strutture ricettive per turisti), sentire il terreno compatto sotto i propri piedi ma sapere che non è nulla di più di fango e paglia mischiati.
Uno dei posti più turistici è senza dubbio Ait-ben-Haddou, città ormai quasi abbandonata ai turisti che la invadono quotidianamente e ai venditori di cartoline, turbanti berberi e calamite. Questa è stata set di famosi film come Il Gladiatore, Lawrence d’Arabia, Gesù di Nazareth, Sodoma e Gomorra… e dal 1987 è patrimonio Unesco grazie alla bellezza e conservazione delle sue costruzioni.
Certo, ad aiutarla in questa grandiosità, è anche la sua posizione, in cima ad una collina e circondata da un fiume che si perde tra le oasi sottostanti, sullo sfondo solo l’Atlante (che se vi va bene è innevato)… uno spettacolo!




Personalmente ho preferito Skoura, paese all’interno di un’oasi di palme da dattero in cui è presente la kasbah Ameridil (privata e da visitare) ma dove il bello è perdersi tra palmeti, fiumi e agglomerati di ksour, villaggi “di fango” fortificati, e kasbah semi abbandonate e decisamente non turistiche.







Lungo la via delle Kasbah però la valle si estende non solo tra deserti e palmeti: da non perdere sono anche le gole che si insinuano nelle montagne laterali creando vere e proprie valli strette pizzicate tra le rocce. Le più famose, perchè molto scenografiche, sono le Gorges du Todhra e le Gorges du Dades, stretti passaggi scavati dai fiumi tra le montagne sui cui versanti si ergono villaggi di fango e grandi kasbah.


Ultimo consiglio, perchè non si può attraversare questa regione senza farsi influenzare dalle tradizioni marocchine e berbere, fate delle pause. Seduti lungo la strada, possibilmente non in un cafè turistico, su tavolini di plastica o ferro battuto, chiedete un tè. E godetevi il momento.
Buon viaggio!



Qui l’articolo l’altro articolo sul Marocco, quello di sette anni fa, per chi, dalla sua vacanza, cercasse questo: https://parolediviaggi.com/2019/01/18/marocco-nothing-else/