Scuola: cosa stiamo insegnando ai nostri figli?

Ci risiamo.
“Maestra non ti sento bene”, “Maestra vedo solo più Lucia enorme sul mio schermo”, “Maestra come mai di alcuni compagni si vede solo una lettera?”, “Maestra ma dove poggio il quaderno se ho il computer davanti?”, “Maestra ma quando torniamo a scuola?”

Sono solo una piccolissima parte della nostra prima lezione DAD del 2022. E pensare che sono pure bravi. Tre ore consecutive con pausa pipì e merendina di 15 minuti. Tre ore in cui abbiamo fatto lezione proprio come in classe, spiegazione, esercizio sul quaderno, consegna dei compiti da fare nel pomeriggio.
Li guardo e mi commuovo. Mi si stringe il cuore al pensiero che sia già il secondo anno che devono vivere una scuola così, loro, così piccini ma sicuramente più bravi di noi ad affrontare questa pandemia, loro che hanno solo sette anni ma che convivono da due con tutto questo. Praticamente un terzo della loro vita.
E a guardarli oggi mi sono chiesta se stiamo remando nel verso giusto, io, le famiglie, chi ci governa.
Perchè questa è l’età in cui loro assorbono come spugne, le nostre parole, i nostri atteggiamenti, i nostri semplici commenti… siamo sicuri di come ci stiamo comportando?
Ultimamente ciò che più mi dispiace è quel contorno che fa da sfondo a tutto questo periodo, ma che ormai è diventata la norma. E cioè il giudicare chi è positivo da un lato e il sentirsi in colpa per l’esserlo dall’altro.

Perchè bisogna sentirsi così tanto in colpa al punto da chiudersi nel silenzio nel comunicare la propria positività o quella del figlio/della figlia quando si è sicuri di aver fatto tutto il possibile per evitare di essere contagiati?
Perchè, d’altro canto, da fuori ci permettiamo di giudicare chi è positivo senza sapere quali sono stati i suoi comportamenti, cosa ha vissuto, come si sente?

Scrivo questo post perchè negli ultimi giorni ho sentito troppe voci e ascoltato troppi racconti che mi danno la conferma che, oramai, questo virus con cui ci troviamo a convivere da quasi due anni, è ovunque e si diffonde con una velocità e una semplicità che non possiamo nemmeno immaginare. Una, due, tre dosi di vaccino… il virus arriva ugualmente. Che tu cerchi di evitarlo o meno. Il vaccino serve a mitigare gli effetti, i sintomi, ma il virus, se ti gira intorno, ti prende ugualmente.
E allora perchè questo accanimento gratuito del giudizio? E’ questo che ci hanno insegnato due anni di pandemia, a giudicare gli altri senza aver ascoltato prima le loro storie?

Inutile guardarsi intorno cercando qualcuno verso cui puntare il dito (di nuovo!)… ci siamo tutti dentro. E’ un atteggiamento che ormai è diventato troppo comune, troppo facile da adottare. E’ all’ordine del giorno tanto quanto il bollettino dei nuovi positivi e dei guariti fatto ogni sera al telegiornale.

Ecco, nel mio lavoro questo emerge all’ennesima potenza. I bimbi sono ancora piccoli per riuscire a crearsi un’idea propria e se a casa sentono che andranno in DAD “per colpa di” un compagno positivo, faranno loro quel pensiero e cresceranno con l’idea che il malato di covid, il contagiato, è quello da evitare, non tanto con il distanziamento, quanto con il sentimento. Allo stesso modo, se un bimbo vedrà l’adulto sentirsi in colpa nel dover ammettere la positività di un familiare, crescerà con l’idea che la malattia è qualcosa per cui sentirsi in colpa, qualcosa da omettere, qualcosa da non raccontare agli altri.
Per non parlare di quei bimbi che invece non tengono la mascherina “perchè mamma mi ha detto che è inutile” e che, così facendo, non avranno mai la possibilità di imparare cosa significa rispetto delle regole, salvaguardia del bene comune e della salute collettiva.

Ma educare non dovrebbe essere l’opposto?
Non dovremmo noi adulti dare il buon esempio? Trasmettere ai nostri figli quei semplici valori che sono alla base delle regole di convivenza civile?
Non dovremmo insegnare ai bambini l’accettazione del diverso, la comprensione e l’aiuto reciproco? E’ così che va a finire tutto il lavoro che svolgo quotidianamente a scuola, in quelle interminabili ore passate ad analizzare un litigio in cortile o una parola irrispettosa rivolta ad un compagno?

Martedì, prima di essere allontanati dalla scuola in attesa della convocazione dell’ASL per il tampone, una bimba si è avvicinata alla cattedra e mi ha detto “Sono un po’ triste maestra, perchè ora verrà a prendermi la nonna, e con la nonna io devo tenere sempre questa mascherina -la ffp2- ed è brutto… perchè lei non mi sente quando parlo e non mi può vedere il viso…”
Ecco. Questo è il maggior problema di cui dovremmo preoccuparci, non se la classe va in quarantena per due, cinque o dieci giorni. Quello si recupera. Il tempo vissuto (o non vissuto) con i nonni no.
Questa relazione, che pian piano si perde, è quella che ci fa diventare poi egoisti, egocentrati, individualisti e privi di un senso di comunità. E allora, cosa ce ne faremo poi, una volta usciti dalla pandemia, di tutto questo individualismo, se avremo perso la sensibilità umana?
Cosa ce ne faremo di viaggi, feste e momenti di condivisione se non sapremo poi relazionarci (di nuovo) con gli altri?
Dobbiamo tenere salde le nostre relazioni, continuare a costruirle anche a distanza, anche nella fatica e nella stanchezza che questo periodo sta portando con sè. Dobbiamo continuare a costruire ponti perchè, alla fine di questo periodo (perchè ci sarà una fine, prima o poi!) avremo più bisogno di quelli che dei muri che stiamo alzando ora.
Vi invito a riflettere.
Non cediamo a quell’individualismo così a nostra portata, sarebbe troppo facile.
Non cediamo al giudizio sterile, basato sul niente e fine a se stesso.
Cambiamo modo di guardare, torniamo alla natura del nostro essere umani, non smettiamo di costruire relazioni.
Questa è la sfida a cui siamo chiamati oggi, tutti: non smettere di costruire.

3 pensieri su “Scuola: cosa stiamo insegnando ai nostri figli?

  1. aurelianotempera

    D’accordissimo con le riflessioni che hai fatto, nella mia ignoranza posso anche affermare quanto sia palese il tuo coinvolgimento diretto nella vita degli alunni e questo è sempre bello da notare. Mi chiedo più che altro quanta consapevolezza e attenzione si rivolgano a tematiche come i “periodi critici” per l’apprendimento e lo sviluppo dei bambini (preadolescenti e adolescenti compresi direi). Serve uno sforzo significativo per garantire un ambiente sano e stimolante e, ahimè, non mi sembra una questione all’ordine del giorno nel dibattito pubblico. Ti ringrazio per il contributo da “insider” quindi 😉

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